MUJI Wonderland

Nicola Donati
3 min readJul 22, 2019

RE: Abbattere e Costruire cose, un’azienda giapponese alla conquista del mondo

“Nella mia visione, nel 2030 i negozi Muji sono presenti nella maggior parte delle principali città del mondo, i clienti acquistano i prodotti e li utilizzano quotidianamente”, ha detto il presidente di Muji, Satoru Matsuzaki “Per questo, abbiamo bisogno di abbattere e costruire un sacco di cose”.

Perché c’è bisogno di abbattere e costruire un sacco di cose? Perché, dopo otto anni di crescita del brand fino a triplicare il fatturato, per la prima volta nel 2018 Muji ha perso quota e non di poco: circa del 40%.

1980 Nato come private label della catena giapponese di supermercati Seiyu, il famosissimo brand minimalista Muji, si chiama in realtà per esteso: Mujirushi Ryohin, ovvero “Prodotti di qualità senza logo”. Iniziano con idee di sostenibilità: vendono a prezzi ridotti confezioni di funghi shiitake spezzati e quindi non attraenti per i negozi, non per questo però da buttare.

1989 La Ryohin Keikaku si emancipa come brand dai supermercati Seiyu, e Muji amplia il suo catalogo ai prodotti da viaggio, alla cancelleria e a molto altro.

1991Il primo negozio Muji internazionale apre a Londra, dal 2000 l’espansione globale diventa molto forte e, nel 2012, apre anche in Cina. L’estero pesa ora sul brand circa al 40%.

Quali sono le ragioni del calo nel 2018?

Il prezzo” è la risposta che viene probabilmente subito in mente a chi almeno una volta si è aggirato tra le pile precise di prodotti di un negozio Muji. In effetti è così: le tasse di esportazione rendono anche i prodotti incredibilmente appetibili in Giappone ma non di utilizzo quotidiano all’estero, dove i prezzi sono maggiorati e il brand proprio grazie alla sua “non riconoscibilità” è facile preda dei competitor (Miniso, Nome, OCE, ecc…). Qui un articolo su come sia troppo facile copiare Muji: https://www.ilpost.it/2019/07/19/muji-cina/

La realtà è che non può essere sempre e solo il prezzo, la ragione. Mi soffermerei un attimo su questo: Muji da quarant’anni sta facendo da precursore in un’attività ecosostenibile che, nel mondo occidentale sta diventando di moda ora limitando la spesa sul marketing e sul packaging, producendo e distribuendo sul territorio prodotti essenziali no logo a basso impatto. Chiaro è che questo modello possa funzionare in Giappone, dove la catena produttiva consente ancora di rispondere alla mission aziendale. All’estero, dove il prezzo Muji è superiore allo standard e dove l’estetica minimal può essere facilmente replicata, una volta passato il trend esotico è molto difficile rimanere a galla.

Interessante la risposta di Muji: riparte dalla produzione in India di 200 prodotti per gli store locali in modo da andare a rispondere alle esigenze di un mercato in grande evoluzione sul quale il prezzo è ancora sicuramente un fattore determinante e, allo stesso tempo, contribuire all’economia locale. Questo indirizzo però non è seguito in tutta la strategia aziendale: parte della produzione verrà delocalizzata nel Sud-est asiatico, dove i prezzi della manodopera sono inferiori.

Mi piace soffermarmi sulla dichiarazione di Sarotu Matsukazi con cui ho aperto: “Abbiamo bisogno di abbattere e di costruire molte cose”, perché questo è l’unico consiglio che chi guida un’azienda deve seguire. Modificarsi, aggiornarsi, cambiare anche quando non sembra essercene bisogno, perché quando ce ne sarà bisogno sarà tardi e, solitamente, costerà moltissimo.

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Nicola Donati

Il Digital come modo di vedere le cose. Communication manager @ Webranking, BU Coordinator @ Pragmatic. Vivo tra Tunisi e Praga, ovvero a Reggio Emilia.